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IL DANNO DIFFERENZIALE nell’ambito dei rapporti di lavoro dipendente

Pubblichiamo un intervento dell’avv. Eleonora Pini, avvocato giuslavorista

Il danno differenziale è il danno risarcibile dal datore di lavoro al lavoratore che ha subito una malattia professionale o un infortunio, tolto quanto corrisposto a titolo di indennizzo dall’INAIL per il medesimo evento dannoso.

Premesso che la copertura assicurativa INAIL configura un esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile (la fonte è l’art. 10 DPR 1124/65), egli rimane responsabile per quanto residua da tutelare al fine dell’integrale risarcimento del danno alla persona.

Il danno differenziale è di origine dottrinale e giurisprudenziale e si divide in danno differenziale in senso quantitativo, determinato dalla differenza tra quanto riconosciuto dall’INAIL e la maggior somma risarcibile per il medesimo danno liquidata in sede civile, e danno differenziale in senso qualitativo che comprende tutte le voci di danno non rientranti nella copertura assicurativa e previdenziale.

Anche il d.lgs. 38/2000, che ha stabilito l’indennizzabilità da parte dell’INAIL del danno biologico da invalidità permanente, ha sottolineando ancora una volta che tale indennizzo da parte dell’ente assolve una funzione sociale, con la finalità di garantire la libertà dal bisogno e che si differenzia dal risarcimento previsto in ambito civilistico che, invece, ha la funzione di ristorare integralmente dal danno il danneggiato, nonché una funzione sanzionatoria e di prevenire l’illecito. In buona sostanza, lo scopo della tutela INAIL è quello di garantire l’indennizzo sociale del danno biologico, ma non per forza il suo pieno ed integrale risarcimento (che eventualmente incomberà sul datore di lavoro o su chi dovrà risponderne).

Il danno differenziale quantitativo esiste in quanto spesso l’indennizzo INAIL è inferiore al risarcimento per lo stesso danno liquidabile in forza delle tabelle utilizzate dai Tribunali. A tal proposito, va precisato che tali tabelle, sebbene abbiano una origine pattizia e non normativa, costituiscono di fatto manifestazione del diritto vivente e che non possono essere ignorate dall’interprete. In ogni caso, tale differente quantificazione può dipendere dal diverso sistema di monetizzazione del punto invalidità da parte dell’INAIL e della tabella dei Tribunali, ovvero dalla differente percentuale di menomazione riconosciuta.

Del resto, quanto erogato dall’INAIL è, appunto, un INDENNIZZO determinato dalla legge in misura forfettaria, uguale per tutti e che opera a prescindere dalla colpa (come detto, deve svolgere una funzione sociale), mentre il danno civile corrisponde al concetto di risarcimento e richiede il previo accertamento della responsabilità e del danno conseguentemente subito valutabile caso per caso.

Premettendo che il sistema pretende che non vi possa essere una duplicazione del medesimo danno (e che una persona dunque non possa ottenere ristoro per la medesima voce di danno da due soggetti distinti), per quantificare il danno differenziale si considerano le seguenti voci di danno che lo possono comporre:

  • Maggior danno biologico riconosciuto in sede civilistica rispetto alla previdenziale;
  • danno morale;  
  • danno biologico temporaneo;
  • danno da perdita di chance;
  • danno tanatologico;
  • danno biologico invocato dai superstiti;
  • danno esistenziale (voce del danno biologico ma non compreso nell’indennizzo INAIL);
  • danno da perdita di capacità lavorativa (che non rientri nell’indennizzo INAIL);
  • danno patrimoniale complementare (legato alla perdita di capacità lavorativa specifica) per le menomazioni inferiori al 16%;
  • danno patrimoniale differenziale per le menomazioni pari o superiori al 16% (in tale caso sarà necessario valutare la capitalizzazione della rendita a carico dell’INAIL e il maggior  danno dovuto).

La liquidazioni delle voci di danni seguono le regole civilistiche quindi dovrà essere provata da chi agisce la responsabilità del soggetto passivo dell’azione e dovrà essere fornita la prova del danno.

La responsabilità del datore di lavoro

Il datore di lavoro può essere responsabile a seguito di illecito (ove quindi gli sia riconosciuta una responsabilità penale) o per fonte contrattuale. Spetterà al danneggiato fondare la richiesta di risarcimento del danno differenziale sulla base dell’art. 2059 c.c. (in tal senso anche l’art. 10 DPR 1124/65 stabilisce che “permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato una condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato”) oppure invocando l’art. 2087 c.c. (responsabilità contrattuale).

In particolare l’art. 2087 c.c. dispone che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Di fatto, la norma citata impone all’imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità dei rischi connessi tanto all’impiego di macchinari quanto all’ambiente di lavoro (Cass. Civ. Sez. Lav. 12-06-2017 n. 14566; Trib. Milano 09-09-2017), nonché le misure generiche dettate dalla comune prudenza, dell’esperienza e della tecnica. Quindi sussiste sempre la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al lavoratore nel caso in cui lo stesso ometta di adottare le idonee misure protettive, ma anche quando non accerti e vigili che di queste misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente (App. Campobasso, Sez. Lavoro 08/08/2017). In buona sostanza, oltre che nel caso di omissione dell’attuazione delle norme sulla sicurezza, si deve considerare che sussiste la responsabilità datoriale anche nel caso di omissione di vigilanza da parte del datore di lavoro della adozione da parte del lavoratore delle misure di sicurezza, anche se adeguate, con esonero della responsabilità solo se il comportamento del dipendente sia connotato da imprevedibilità o abnormità.

Va precisato che nel settore del diritto del lavoro vi è una “quasi” presunzione, fondata sull’esperienza, in base alla quale la violazione del rapporto obbligatorio è normalmente ascrivibile a comportamento colposo del datore di lavoro e solo raramente a inadempimenti e negligenza del lavoratore.

Riassumendo: presupposto per richiedere il danno è la dimostrazione della colpa datoriale; la colpa datoriale sussiste ove non vi sia il rispetto e l’attuazione della normativa sulla sicurezza o nel caso si ometta la dovuta vigilanza; quanto al regime della prova vale il principio della prossimità secondo il quale spetta al datore di lavoro fornire la prova della propria mancanza di colpa come in precedenza descritta.

La responsabilità del datore di lavoro committente

Particolare (anche se non è una vera novità) é il contenuto dell’art. 26 D.Lgs. 09/04/2008 n. 81 che sancisce un regime di solidarietà fra datore di lavoro committente e appaltatore o subappaltatore per il danno differenziale subito dal lavoratore di questi ultimi. In pratica, laddove il datore di lavoro affidi lavori, servizi o forniture ad un’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, egli è tenuto a verificare l’idoneità tecnico –professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi e a fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. Il datore di lavoro committente deve cooperare con appaltatore  o lavoratore autonomo (e subappaltatori) all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro e alla cordinazione degli interventi volti al medesimo scopo e ciò anche mediante l’elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure da adottare per eliminare, o, dove non possibile ridurre al minimo, i rischi.

La norma citata, quindi, dispone ulteriori oneri di coordinamento  e di attività connesse nella prevenzione dei rischi tra soggetti diversi e laddove vi sia un rischio interferenziale per sovrapposizione di spazi e attività lavorativa. In buona sostanza, il committente (anche in caso di subappalto) è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l’infortunio, sia per la scelta dell’impresa, sia in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (Cass. Pen. 10/01/2018 n. 7188).

Nel caso, pertanto, vi sia un infortunio in tali situazioni il lavoratore potrà rivendicare il danno differenziale nei confronti del proprio datore di lavoro (appaltatore o subappaltatore) in solido con il datore di lavoro committente, salvo il caso in cui l’evento infortunio sia conseguenza dei rischi specifici delle imprese appaltatrici o subappaltatrici (in questa circostanza è esclusa la solidarietà del datore di lavoro committente e il lavoratore potrà agire solo nei confronti del proprio datore di lavoro appaltatore o subappaltatore esso sia).

La giurisprudenza in merito ha sancito che tale solidarietà del committente non sia derogabile ad opera del contratto d’appalto, poiché gli obblighi di cooperazione all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione a carico del committente e dell’appaltatore sono norme di diritto pubblico e, in quanto tali, inderogabili (Cass. Pen. 19/07/2019 n. 38845).

Ancora, gli obblighi imposti dalla normativa in analisi non sono legati alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto fra le imprese. In buona sostanza, non importa si qualifichi il rapporto esistente fra le imprese come contratto di appalto, somministrazione o altro, poiché gli obblighi prescritti devono essere rispettati ogniqualvolta si concretizzi un’interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l’incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (cosi Cass. Pen. 06/12/2018 n. 1777; Cass. Pen. 01/02/2018 n. 9167).

In queste situazioni di interferenza risulta ancor più necessario seguire e attuare diligentemente quanto disposto dalle normative sulla sicurezza del lavoro, elaborando i piani sicurezza imposti dalle disposizioni ed effettuando le nomine dei responsabili, poiché, perché venga considerato responsabile il datore di lavoro (committente e appaltatore), basta, per esempio, la mancanza della nomina del CSE - Coordinatore Sicurezza in fase di Esecuzione - o le carenze del POS - Piano Operativo di Sicurezza - (così Cass. Pen. 25/01/2018 n. 10544).

Avv. Eleonora Pini

(Per gentile concessione, Gennaio 2020)

www.studiolegaleeleonorapini.it