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LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO PER GMO CON REDISTRIBUZIONE DELLE MANSIONI

A distanza di un decennio la Corte di Cassazione ribalta la propria posizione.

Una recente sentenza, ormai non unica nel suo genere, ribadisce dei nuovi confini per la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato dalla soppressione della posizione lavorativa del dipendente con redistribuzione delle sue mansioni fra i colleghi.

Il passaggio non è stato immediato: inizialmente il licenziamento del lavoratore dettato dalla soppressione della posizione lavorativa, con redistribuzione delle mansioni fra il restante personale in forza presso il datore di lavoro, veniva considerato di per sé illegittimo, in quanto la giurisprudenza intendeva la soppressione della posizione lavorativa come equivalente di soppressione della mansione. Va da sé che, quindi, laddove vi era redistribuzione dei compiti lavorativi non si poteva parlare di cessazione di quella data attività all'interno dell'azienda. Si riteneva insomma che un tale licenziamento si esaurisse in una mera riduzione dei costi, non legittimante un provvedimento estremo quale la risoluzione di un rapporto di lavoro, da considerarsi quale extrema ratio. In seguito, diverse pronunce delle corti di merito hanno legittimato il ricorso al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con redistribuzione delle mansioni del lavoratore licenziato, laddove la società versasse e in uno stato di crisi, non contingente, e la redistribuzione consistesse nell'affidare i compiti che erano stati del lavoratore licenziato ad un superiore o all'amministratore delegato o avocati dallo stesso datore di lavoro. In quest'ultimo caso le maglie della giurisprudenza si erano già allentate, ma non si poteva parlare di mera redistribuzione delle mansioni fra colleghi e non certo per il solo fine di ridurre i costi aziendali.

Oggi il passaggio finale e la Cassazione (n. 29238/2017 del 6 dicembre 2017) afferma che “il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ex art. 3 l. 604 del 1966, è ravvisabile anche soltanto in una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, attuata ai fini di una più economica e efficiente gestione aziendale, nel senso che certe mansioni possono essere suddivise fra più lavoratori, ognuno dei quali se le vedrà aggiungere a quelle già espletate, con il risultato finale di far emergere come in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che vi era addetto in modo esclusivo e prevalente”.

In aggiunta, la sentenza precisa (in continuità con quanto espresso dalla precedente Cass. n. 25201/2016) che ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce neppure un presupposto che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione organizzativa.

La sentenza citata del dicembre scorso (in linea con i precedenti conformi – v. anche Cass. n. 19185/2016) pone un unico limite: la ridistribuzione delle mansioni così attuata deve essere conseguenza del riassetto organizzativo, non viceversa. In buona sostanza, il ragionamento alla base del provvedimento espulsivo deve essere la razionalizzazione delle risorse e la conseguenza potrà essere legittimamente l’esubero di una posizione lavorativa, con rassegnazione dei compiti al restante personale.

Ovvio che il licenziamento, invece, sarà comunque considerato illegittimo laddove il datore di lavoro scelga di licenziare arbitrariamente un lavoratore (quindi non come conseguenza di un riassetto organizzativo) e affidi le mansioni del licenziato agli altri suoi dipendenti.

 

(Per gentile concessione dell’avv. Eleonora Pini _  Febbraio 2018)

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